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Arte e architettura: nuovo dialogo per nuovi paesaggi
di Marcella Tisi
Nuovo Polo fiera Milano
Padiglione 1
mercoledì 30 marzo 2005
ore 16,00 – 17,30
All’ingresso sud del nuovo complesso fieristico milanese a Rho – Pero sono state progettate e saranno a breve realizzate, due rotonde con criteri differenti da quelli che normalmente si seguono per risolvere questi spazi. La relatrice del presente workshop è anche l’autrice di questi progetti e attraverso la sua comunicazione intende esporre le motivazioni e i passaggi teorici che, attraverso l’esperienza diretta di architetto e scultrice, l’hanno portata a ideazioni di questo genere.
Il grosso equivoco in cui si incorre nella progettazione di queste aree dal punto di vista dell’inserimento nel costruito sta nel considerarle come un’evoluzione quasi naturale della piazza. E’ vero che storicamente avvenne questo passaggio, quando con la presenza sempre più crescente della circolazione automobilistica nelle città, si iniziò ad usare impropriamente alcune piazze come rotatorie (traffic circle). Dal punto di vista del paesaggio urbano, intendendo con questo termine l’immagine urbana quale risultato armonico delle relazioni fra tutte le sue componenti – funzionale, ambientale, sociale, estetica, … – tale passaggio non fu né fluido né naturale e nemmeno si può parlare di evoluzione, in quanto coincide con il progressivo svuotamento di questi luoghi delle funzioni di incontro e aggregazione che li avevano fino allora fortemente caratterizzati.
Per molti decenni però la situazione rimase indefinita, non ci fu una vera e propria rottura, in quanto la circolazione nella rotatoria era concepita con diritto di precedenza agli accessi delle strade confluenti e quindi potevano essere mantenuti gli attraversamenti pedonali; pertanto lo spazio centrale non utilizzato dalle automobili poteva ancora essere raggiunto dalle persone e poté conservare alcune delle funzioni che prima caratterizzavano l’intera area. Era possibile far sopravvivere giardinetti, aree di sosta e di svago, ma si perse completamente la funzione di aggregazione, che poteva essere data dalla presenza del mercato, di luogo di ritrovo turistico, giovanile, di svago per bambini, …; si perse comunque anche la funzione contemplativa tipica di un luogo appartato e fisicamente separato dal caotico traffico circolatorio.
A questo punto insorge un nuovo equivoco. Questi spazi che, proprio per la motivazione sopra riportata sembrerebbero i meno adatti ad accogliere opere d’arte, secondo la logica di imprimere grandezza all’espansione urbana, diventano luogo ideale per il monumento artistico quale fulcro degli itinerari, segno di nuove prospettive e di rappresentazione del potere.
Il piano emblematico fu quello di Napoleone III e di Haussmann (1851 – 1869).
Già a fine ottocento l’urbanista Camillo Sitte segnalò il problema indicando come discutibile pratica moderna, in rottura con la tradizione antica, l’atteggiamento dei nuovi urbanisti di occupare il centro delle piazze con il monumento, ovvero l’opera artistica che, in quanto tale, necessita di un luogo appartato per essere goduta e contemplata senza interferenze. Quindi l’efficacia di tale collocazione e pertanto di sistemazione urbana delle isole centrali è inscindibile dalla funzione di rappresentazione del potere e di forte segnale di fiducia nell’espansione urbana.
La vera rottura per questi luoghi si verificò quando, per risolvere i problemi del traffico sempre più crescente e per diminuire il numero degli incidenti, si introdusse nelle rotatorie la norma di priorità alla circolazione interna. Ciò avvenne dapprima in Gran Bretagna nel 1966 e poi in Francia nel 1983, dove si definirono appunto a l’Anglais, le nuove rotonde con precedenza all’anello (roundabout, offside priority, modern roundabout).
L’isola centrale non fu più raggiungibile e gli attraversamenti pedonali dovevano comunque essere collocati a ragionevole distanza dallo snodo per non abbattere l’efficacia di un sistema circolatorio che prevede l’autoregolazione e il flusso continuo senza arresti forzati, come accadeva per gli impianti semaforici.
L’adozione delle rotonde è un cambiamento radicale di strategia del traffico quindi è inevitabile che, una volta optato per tale strategia, le trasformazioni si verifichino a tappeto.
In una città come Torino, caratterizzata urbanisticamente da grandi assi viari rettilinei che attraversano la città, la trasformazione di uno snodo di traffico da impianto semaforico a rotonda non permette una sperimentazione graduale della trasformazione, ma necessita di trasformazioni rapide di tutto il percorso. A Milano, oltre ad essere caratterizzata da un impianto urbanistico profondamente differente, l’atteggiamento più cauto nei confronti di tali trasformazioni rivelerebbe una politica di individuazione di una strategia generale, senza una linea programmatica e operativa a breve termine.
Il fatto è che, vivendo in una città come Torino, il problema dell’inserimento nel contesto di questi spazi diventa inevitabilmente un tema di riflessione e sperimentazione fondamentale.
L’isola centrale che in alcuni casi raggiunge anche notevoli dimensioni, non è più in nessun modo raggiungibile: è spazio sottratto all’uso. La sua funzione rimane pertanto esclusivamente estetica.
La teoria dell’estetica del paesaggio, che ha uno dei punti di riferimento nel pensiero del filosofo paesaggista Rosario Assunto, ha dimostrato la presenza, nonché la necessità, di una componente estetica propria e autonoma della natura individuandone nel paesaggio la migliore manifestazione. Parallelamente ne lamenta la progressiva scomparsa nelle città che coincide con una lenta ma inesorabile espulsione della natura dagli ambienti urbani. Giardini e parchi vengono man mano sostituiti da sistemazioni a verde che non bastano a trasformare e riqualificare un luogo, perché la natura è vivente e come tale implica attenzione, cura, partecipazione alla vita quotidiana dell’uomo.
La realizzazione sempre più frequente di spazi di ritaglio – rotonde, isole centrali, e direzionali, aiuole spartitraffico – non considerati dal punto di vista paesaggistico dai progetti urbani settoriali, come ad esempio la viabilità, oppure dai progetti di riqualificazione di aree urbane particolarmente problematiche, come le periferie, porta in primo piano queste riflessioni.
Il tentativo che si propone è di considerare l’intervento artistico come il più adatto a misurarsi con queste problematiche. Parlo di intervento e non di opera in quanto è stato in precedenza dimostrato che l’opera artistica intesa in senso tradizionale come monumento, svuotandosi di una funzione emblematica forte, trova nella rotonda la collocazione meno idonea. Occorre inoltre tenere conto che anche una parte non esigua delle ricerche artistiche moderne e contemporanee ha profondamente ridiscusso e in alcuni casi rovesciato il concetto di scultura come oggetto artistico semplicemente da collocare. Ed è proprio all’interno di queste pratiche artistiche che si deve guardare per individuare l’eventuale contributo dell’artista alla progettazione di questi luoghi urbani.
Esiste un movimento di artisti che hanno fatto del luogo e più in generale della natura, la componente essenziale delle loro pratiche artistiche, denominato Land Art. Occorre innanzitutto precisare che, al di fuori degli ambienti specialistici, si è soliti includere nella Land Art tutti gli interventi artistici che si confrontano con il luogo, che non aggrediscono il territorio, bensì che cercano un’integrazione e un dialogo con esso. Questa concezione errata, o perlomeno imprecisa e parziale, può generare dei grossi equivoci nella valutazione del movimento e dei suoi significati, ma per contro, ne dimostra l’aspetto veramente unico e singolare nel panorama artistico contemporaneo.
Il movimento artistico della Land Art, che possiamo denominare storica, nato in America intorno agli anni ’60 del ‘900, non si è mai di fatto esaurito, al contrario è cresciuto, si è diversificato e sfaccettato, trasformandosi in un’ampia e ricca serie di proposte artistiche differenti e variegate. Il termine Land Art risulta pertanto essere un iponimo imperfetto, nel senso che viene usato al posto di un altro termine con un significato ben più vasto, di cui non esiste in realtà il vocabolo appropriato e con cui ha un rapporto di subordinazione. Un altro punto fondamentale da sottolineare come caratteristica in un certo senso contraddittoria di questo movimento consiste nel fatto che il confronto col luogo, il filo conduttore che attualmente affianca e lega tutte queste diversificate esperienze al suo interno, non fu che una conseguenza secondaria delle motivazioni che portarono alla nascita della Land Art storica. Le tematiche principali che animarono i primi artisti dalla Land Art furono la critica sociale contro il mondo del consumismo, la polemica contro il sistema del mercato dell’arte, la commercializzazione e la feticizzazione delle opere, un atteggiamento di sfiducia nei confronti del modernismo, del progresso e dell’industrializzazione.
Le prime opere si confrontano con il luogo in quanto ricerca di spazi non convenzionali di espressione artistica, quindi risolvendone le problematiche non “a priori” bensì volta per volta come uno dei tanti problemi da affrontare per l’effettiva riuscita dell’opera. Il massimo rappresentante di questo atteggiamento artistico fu Robert Smithson che, con la serie di opere intitolate Non-sites (Nonluoghi), divenne un punto di riferimento fondamentale riguardo i dibattiti intorno all’espansione dei centri urbanizzati e alla conseguente formazione di luoghi urbani ed extraurbani senza qualità e identità.
In seguito anche a seconda dei diversi approcci artistici, il confronto col contesto assume maggiore importanza e significato; in alcuni casi il rapporto luogo-intervento viene completamente rovesciato. L’attività artistica di Richard Long aiuta ad esemplificare questo aspetto che caratterizza un certo tipo di arte ambientale, che fa del rapporto con il luogo e più in generale con la natura, il tema centrale delle sue produzioni e si riferisce inoltre a una serie di attività e di movimenti anche recenti, legati al recupero dell’arte del camminare come pratica artistica.
Sono numerosi inoltre gli interventi che si compongono di azioni di sensibilizzazione nei confronti di un ambiente quotidiano più a misura d’uomo, di cui esponente emblematico è stato il tedesco Joseph Beuys, con il suo intervento 7.000 querce a Kassel nel 1970.
L’ultimo aspetto da affrontare a questo punto è individuare in che modo e con quali specifiche competenze l’artista possa partecipare alla progettazione di un luogo e dialogare con le altre figure professionali che si occupano della modellazione del territorio, prima di tutto con l’architetto con cui condivide sotto certi aspetti le componenti della creatività e dell’ideazione. Si apre un tema di orizzonti vasti e sconfinati che però viene sempre affrontato discutendone gli aspetti delle affinità e reciproche influenze, con il risultato che anziché favorire una collaborazione se ne esaspera la competizione e le incursioni ciascuno nel campo dell’altro.
Vorrei qui invece accennare a un mio personale tentativo di individuare dei ruoli e definire un confine di inizio e fine delle due sensibilità e quindi delle competenze, attraverso il pensiero di due grandi pensatori del passato.
Partendo dalla definizione di architettura di Vitruvio, si può sottolineare quanto fin dagli inizi il ruolo dell’architetto fosse legato alla visione del futuro e del progresso, e constatare che questa caratteristica non lo ha mai abbandonato, anzi si è accentuata col tempo e con l’intensificarsi delle scoperte tecnologiche e scientifiche. Attualmente la migliore architettura contemporanea è il risultato di invenzioni tecnologiche e creatività artistica e si verifica con sempre maggior frequenza che architetti brevettino sistemi costruttivi e nuovi materiali. L’urbanistica dal canto suo si conferma come disciplina che prevede i cambiamenti della città futura e, con i suoi strumenti, propone il modo migliore per governarli e pianificarli.
Gli artisti, che per secoli legarono la loro attività artistica al progresso e alle scienze con una visione sempre entusiasta e ottimistica del futuro, (non bisogna dimenticare che la separazione delle due discipline è un fatto recente, pertanto ha senso sottolineare la diversità di atteggiamento dopo tale separazione), cambiarono atteggiamento quando l’industrializzazione, l’urbanizzazione, il consumo di massa cominciarono a corrompere l’ambiente e l’individuo, facendo loro perdere la fiducia in un futuro migliore. Questo non significa che l’artista sia rimasto ancorato ai mezzi tradizionali, ai materiali del passato, rifiutando qualsiasi innovazione; le ricerche artistiche attuali dimostrano il contrario. Ciò che intendo è un atteggiamento, una sensibilità e una disposizione d’animo che informa l’operare dell’artista e che inevitabilmente ne definisce un ruolo ben preciso, perlomeno nel campo del progetto nel territorio.
Il tema della pietas, nucleo concettuale centrale del pensiero di Walter Benjamin, consiste nell’atteggiamento compassionevole verso ciò che è marginale, passato, finito, vale a dire un atteggiamento di considerazione – di pietà, appunto – verso ciò che è passato e che non c’è più, che ha valore non perché possa essere servito a costruire il futuro, bensì perché testimonianza e traccia di un vissuto. La società contemporanea che è caratterizzata dalla molteplicità e dalla diversificazione e dal susseguirsi rapido degli eventi, passando alla storia rischia di perdere l’immagine di tale complessità se non si tiene conto e in qualche modo si fermano avvenimenti transitori e fuggevoli senza distinguere fra piccoli e grandi. L’esperienza artistica risponde a questo compito in modo privilegiato in quanto attraverso di essa le cose, che rimangono in un certo senso esattamente quelle che sono e come sono, vengono in qualche modo sottratte alle dimenticanza.
Nella costruzione di nuovi paesaggi è quindi necessario il contributo di entrambe le discipline:
l’architetto con la sua creatività e lo sguardo sempre rivolto al futuro si fa garante nel progetto dell’immagine del luogo come sarà; l’artista, includendo nei suoi progetti la considerazione per ciò che può venire inesorabilmente cancellato, si fa garante dell’immagine dello stesso luogo com’era e come non sarà mai più.
Arch. Marcella Tisi
Corso Moncalieri 213 bis – Torino
Tel./fax 016612840
e.mail marcella.tisi@tiscalinet.it
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RINGRAZIAMENTI
Si ringraziano per la collaborazione e la documentazione fornita:
I Comuni di Milano, Pavia, Peccioli (PI), Torino.
La MM di Milano.
La GGT di Torino.
Lo studio Comaschi di Milano.
L’arch. Marco Corongi di Torino.
Le cantine sociali di S. Maria La Versa.
Piazza Carlina – Torino
Piazza Piota e Piazza Imani – Milano
Piccadilly Circus
Piazze a Napoli
Largo Vittorio Emanuele – Torino
Rotonda in Francia
Peccioli: rotonda di Giugiaro
Olanda: rotonda di Lucien Den Arend
Piazza Maggi – Milano
Smithson Spiral Jetty, 1970, Great Salt Lake, Utah
Spiral Hill, 1971, Emmen, Olanda
In una vecchia cava di Emmen S. produce un lavoro che tocca attraverso l’arte, il tema del recupero ambientale.
I non-sites (nonluoghi) sono tentativi di creare una stretta connessione fra territorio estremo e spazio della galleria. In concreto sono dei contenitori di varie forme geometriche semplici contenenti materiali grezzi (pietre, ghiaia, minerali, etc.) raccolti da S. in determinati luoghi (sites) da lui esplorati. I materiali prelevati sono frammenti sottratti al luogo per questo non-sites: gli osservatori di questi nonluoghi sono costantemente rimandati al sito reale.Il fatto che i luoghi scelti avessero le caratteristiche della distruzione (un altro tema centrale della sua poetica) e della corruzione dell’ambiente – laghi e bacini artificiali, depositi di rifiuti, cave dismesse, zone avvelenate dall’edificazione, sottoprodotti dell’industrializzazione, …- ha contribuito ad aprire e rafforzare i dibattiti intorno ai luoghi creati da un’urbanizzazione senza pianificazione e controllo.
Long
Circle in Africa, 1978, Mulanje, Mountain, Malawi
A line in Scotland, 1981, Cul Mor
Walking a line through leaves, 1993, Sobeksan, Corea
Christo e Jeanne Claude
The Umbrellas, 1984 – 91, California, USA
Valley courtain, 1970, 72, Rifle Colorado
Sourrounded Islands, 1980 – 83, Biscane Bay, Florida
Joseph Beuys
7.000 Oaks, 1970, Kassel
Ukeles
Flow city, 1983 – 90, 59th Street Marine Transfer, Station N.Y.
Nel 1977 diventa consulente del Dipartimento della Sanità di N.Y. city, un’attività che segna una serie di lavori che includono sia opere permanenti, sia performance. Flow City fa parte della serie di lavori che mirano alla sensibilizzazione delle coscienze; inizia in un impianto di riciclaggio ad ovest del fiume Houdson nella 59esima strada, all’interno del quale la U. concepisce un percorsodi visita per le persone in modo che possano seguire direttamente le varie fasi del riciclaggio di rifiuti.
Mary Miss
South Cove, 1988, Battery Park City, N.Y.
Si tratta di un insolito luogo creato per la meditazione, lungo le sponde del fiume Houdson ed è considerato uno dei più significativi lavori di arte pubblica del paese, essendo il risultato di una collaborazione fra l’artista ambientale M.M., l’architetto Stanton Eckstut e l’architetto paesaggista Susan Child.
Patricia Jhoanson
Fair Park Lgoon, 1981 – 86, Dallas, Texas
Il lavoro fu commissionato dal Museo d’arte di Dallas e cosiste nella riqualificazione di una zona lacustre. Dopo aver bonificato la laguna la J. Si preoccupò di reintrodurre piante acquatiche , pesci, rettili, per ricreare un habitat naturale. Ideò dei percorsi in cemento colorato che entrano ed escono dall’acqua assumendo funzioni diverse quali banchine, ponticelli. etc.
Martha Schwartz
Federal Courthouse Plaza, 1997, Minneapolis, Minnesota
I luoghi pubblici si rivelano nuovi campi di azione culturale offrendo ambiti e momenti espressivi tali da rendere le soste e l’attraversamento delle esperienze significative.
Power Lines, 1999, Landschaftspark Mechtenberg Gelsenkirchen, Germania
Un lavoro di arte ambientale che fa parte dell’Esposizione Internazionale di Emscher Park, una regione dove è in corso un processo di dismissione delle industrie e di bonifica del territorio.
Burle Marx
Palazzo di Itamarati, Giardino del Ministero degli Esteri, 1965 Brasilia (Oscar Niemeyer architetto)
Sitio santo antonio da Bica, 1949, Campo Grande, Rio de Janeiro
Praca Santos Dumont, 1943, Rio de Janeiro. Planimetria del giardino
Noguchi
Interior Courtyards and garden for Connecticut General Life Insurance Company Building, 1956 – 57 Bloomfield Hills, Connecticut
Unesco Gardens, 1956 – 57, Pèarigi
California scenario, 1980 – 82, Costa Mesa, California